La penicillina: una storia di collaborazione internazionale
70 anni fa moriva Alexander Fleming che mise a punto il primo antibiotico. Il medicinale venne sviluppato durante la Seconda Guerra mondiale, ma la sua storia ricorda l'importanza della collaborazione
Sull’Occidente tira un vento di guerra. L’Unione Europea sembra avere in programma un piano di riarmo che secondo le parole della presidente della Commissione Europea, Ursula von Der Leyen, potrebbe toccare gli 800 miliardi di euro di investimenti. Negli Stati Uniti, l’elezione di Donald Trump ha aggiunto caos e imprevedibilità allo scenario geopolitico internazionale, anche per quanto riguarda i conflitti militari.
Armi, eserciti e scontri bellici hanno sempre portato (e sempre porteranno) devastazione, violenze e traumi irreversibili. In questi scenari di morte e distruzione, tuttavia, talvolta sono maturati avanzamenti scientifici che hanno favorito scoperte o progressi rivoluzionari, con un grande impatto sulla vita quotidiana di milioni di persone. Constatiamo questo dato ricordando che le guerre sono sempre delle tragedie e sono da evitarsi, e che neanche la più grande scoperta scientifica potrebbe dare senso alle sofferenze che i conflitti armati portano con sé.
L’11 marzo di quest’anno si è ricordato il 70° anniversario della morte di Alexander Fleming, batteriologo scozzese che nel 1928 scoprì la penicillina, un antibiotico prodotto dal fungo Penicillium notatum (oggi noto come Penicillium chrysogenum), la cui azione antibatterica fu successivamente studiata e resa utilizzabile a livello terapeutico dal lavoro di Howard Florey e Ernst Boris Chain. Florey, Chain e Fleming vinsero il Premio Nobel per la Medicina nel 1945. Il caso della penicillina è un ottimo esempio di scoperta scientifica i cui effetti su larga scala sono stati accelerati da un conflitto militare, in questo caso la Seconda Guerra mondiale.
Le attività di ricerca sulla penicillina, infatti, vennero intensificate quando le istituzioni americane compresero che tramite essa era possibile salvare la vita di centinaia di migliaia di soldati. Sebbene in prima battuta «diverse aziende farmaceutiche americane avessero esaminato la muffa di Fleming, nessuna aveva continuato a svilupparne il potenziale», scrive Roswell Quinn in un articolo pubblicato sull’American Journal of Public Health. Quando si capì che la penicillina avrebbe avuto un ruolo cruciale nel recupero di forza lavoro, però, i leader militari americani mobilitarono le risorse necessarie a creare un gruppo di lavoro che potesse trasformare la produzione di penicillina «da un metodo a bassa resa e ad alta intensità di lavoro, che prevedeva la coltivazione di penicillina grezza in padelle e bottiglie di latte, alla fermentazione di penicillina altamente raffinata in vasche da 10.000 galloni».
Pubblicità del 1944 degli Schenley Laboratories, produttori americani di penicillina (Immagine: Science Museum Group).
La penicillina verrà poi introdotta sul mercato a partire dal 1945, sotto il controllo di Stati Uniti e Regno Unito, i due paesi che avevano contribuito alla produzione dell’antibiotico durante gli anni del conflitto. Come ricordato sul Manifesto da Mauro Capocci, ricercatore di Storia della medicina all’Università di Pisa, di questa egemonia «fecero le spese i paesi comunisti europei e asiatici fino alla metà degli anni ’50», mentre agli Stati alleati fu permesso di aprire proprie linee produttive per sviluppare farmaci a base di penicillina, grazie alla condivisione di tecnologie e conoscenze scientifiche in materia.
L’Italia costruì la sua prima fabbrica di questo tipo a Roma. Indovinate chi era presenta all’inaugurazione della Leo Penicillina, nel 1950? Alexander Fleming in persona! Secondo quanto riportato nel libro Hotel penicillina (Ditta, Passaro e Turchi, 2020), Fleming lasciò scritto un messaggio nel libro degli ospiti, in cui sottolineava che nessun’altra fabbrica di penicillina in giro per l’Europa l’aveva entusiasmato come quella italiana e che la terapia antibiotica non avrebbe rappresentato «una fase effimera della medicina».
La diffusione della penicillina, insomma, è stata possibile grazie alla cooperazione: quella tra scienziati britannici e americani a inizio anni ‘40, quella allargata ai paesi dell’Alleanza Atlantica al termine della Seconda Guerra mondiale. Anche Fleming riconobbe l’importanza del lavoro d’insieme durante la conferenza di accettazione del Premio Nobel, ricordando che: «Fu solo grazie alla collaborazione con altri scienziati, in particolare con i chimici e gli ingegneri, che il processo di produzione su larga scala fu sviluppato». Queste parole potrebbero essere d’ispirazione per un mondo occidentale che oggi sembra voler lentamente rinunciare agli sforzi di cooperazione non violenta che da decenni sorreggono il sistema politico, e scientifico, in cui la nostra società ha proliferato.
La cellula in 3D… remastered
Una delle nostre collaborazioni più durature è quella con l’editore Zanichelli, specializzato in libri per la scuola secondaria di primo e secondo grado. Oltre una dozzina di anni fa abbiamo cominciato a lavorare insieme a Pasqualino Anziano, esperto di visualizzazione scientifica in 3D. Da allora abbiamo realizzato molti video che nel 2024 sono stati anche rinnovati nella grafica, aggiornandola alla ultime tecnologie a disposizione.
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I video si concentrano sulla struttura e la fisiologia delle cellule e nel database dei prodotti educational Zanichelli hanno una loro pagina dedicata: la biologia molecolare in 3D.
Ripeschiamoli
All’inizio dell’anno, prima che il ciclone Trump si abbattesse sul ciclo delle notizie monopolizzando l’attenzione di tutti i media, in Italia c’è stato spazio per un dibattito sul ruolo della Terza missione nell’Università. Non tutti i ricercatori e le ricercatrici, infatti, ritengono che comunicare, “fare uscire la scienza dai laboratori” sia un peso che si deve assumere chi è già diviso tra didattica e ricerca. Nella puntata del 16 gennaio di Radio3Scienza, il quotidiano di scienza in onda su Radio3 RAI, Elisabetta Tola ne ha discusso con Claudio Marazzini, linguista, docente emerito dell'Università del Piemonte Orientale, presidente onorario dell'Accademia della Crusca, direttore di classe dell'Accademia delle scienze di Torino, e a Fabiana Zollo, docente di Informatica all'Università Ca' Foscari di Venezia.
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